Parliamone con Tiziana

Intervista

Perché dobbiamo parlare di retention?

Parliamo e facciamo strategia di retention perché le associazioni spendono un sacco di soldi per fare acquisizione. Ma non si tratta di spendere, si tratta di investire. Nel momento in cui andiamo ad investire, dobbiamo fare in modo che tutti i frutti del nostro investimento restino nel nostro paniere.

Normalmente quando si va in acquisizione i risultati sono contenuti, non parliamo di numeri e cifre perché ognuno ha i suoi dati. In acquisizione dobbiamo portarci a casa il maggior numero possibile di donatori. Questo è primo obiettivo.

Dopodiché, una volta acquisiti li dobbiamo tenerci i donatori.

Quando si parla di donatore acquisito?

Nella stragrande maggioranza delle azioni di prospecting si invia un messaggio che arriva a casa dei nostri potenziali donatori. Qualcuno risponde, molti no. Per molte associazioni i donatori che rispondono al messaggio di prospecting diventano istantaneamente donatori.

Non è vero, non sono donatori di quell’associazione. Sono persone che, per caso, quel giorno avevano la luna giusta per donare, avevano voglia di donare, hanno ricevuto un messaggio che gli è piaciuto perché aveva un bel titolo, aveva una bella foto, il contenuto era soddisfacente, la lettera era coinvolgente, il gadget era spaziale, non si poteva dire di no…

Sono tante le ragioni che inducono il nostro donatore, il nostro potenziale donatore, a farci la sua prima donazione della vita.

Di fatto, lui ci conosce a malapena. È stato colpito da alcune cose, poche cose, di solito i secondi che intercorrono tra il ricevimento di un messaggio e la decisione di fare una donazione sono pochissimi. Il donatore guarda velocemente i contenuti del pack, legge, vede cosa c’è dentro e viene colpito da qualcosa che lo indurrà ad un’azione.

Il mailing ha questo scopo: spingere ad un’azione immediata, ad una risposta. Infatti, si parla anche di “direct response”, risposta diretta. La prima volta che qualcuno dona non è ancora donatore dell’associazione. Un donatore diventa “dell’associazione nel momento in cui, almeno in parte, in piccola parte, ha compreso a fondo la mission e la condivide.

Come si fa retention?

Non bisogna buttar il nuovo donatore acquisito nel calderone di tutti quanti i nostri donatori, dove comincerà a ricevere dei messaggi che dicono “come ben sai”, “questa cosa l’abbiamo fatta”, “come ti abbiamo già raccontato”….

No, non gli abbiamo raccontato niente a lui, lui non sa niente di noi, sa quelle tre cose che ha scoperto nel nostro primo mailing.

I messaggi di retention vengono mandati almeno per un anno. Noi abbiamo fatto test anche per periodi più lunghi, di due o tre anni, ma ci siamo resi conto che sui due, tre anni i risultati non si innalzano. Basta un anno.

Questi messaggi devono essere focalizzati sul fatto che il donatore ci sta conoscendo. Gli dobbiamo raccontare rimanendo sempre agganciati al nostro primo messaggio, alla ragione per cui lui ha scelto noi.

Continuiamo a raccontargli quella storia, facciamolo entrare in quella storia, facciamolo diventare protagonista di quella storia e lui probabilmente resterà all’interno della nostra organizzazione, perché tenderà a sentirsi sempre più parte di quella storia, di quella vicenda che abbiamo raccontato nei dettagli.

I messaggi contengono una presentazione dell’associazione?

Non è il focus principale. Quando invio un messaggio di retention racconto al donatore di quanto lui, entrando nell’associazione, sta facendo. Noi dobbiamo parlare di noi e dei nostri progetti attraverso lui: “tu stai facendo questo”. Dobbiamo smetterla di dire “noi”. Un sacco di associazioni dicono “noi”, “noi facciamo”.

È una falsità assoluta perché senza i soldi dei donatori un sacco di cose non si possono fare. Quel “noi” deve essere un noi inclusivo, in pratica il mio donatore mi dà il mandato, mi dice “sì, fai quella cosa, condivido con te il desiderio di farla”. In quel momento fa anche lui quella cosa, lui deve diventare parte della storia dell’associazione, deve viverla come una sua storia.

È un po’ la vecchia tematica trita e ritrita, e mal compresa peraltro da buona parte delle persone, del viaggio dell’eroe: quella è la tua storia, fatta di difficoltà, di ostacoli superati, di successi, di sconfitte, che l’associazione ha il dovere di raccontarti e rendicontarti e di cui ti deve rendere assolutamente partecipe.

Nella retention come parliamo di affidabilità dell’associazione?

Nella lettera parli anche di affidabilità dell’associazione. Lo fai quando dedichi degli spazi ai progetti, attraverso ai numeri che dai, a quante cose fai, a dove le fai, in questo modo racconti chi sei.

Lo facciamo anche attraverso ah quel viaggio che noi chiediamo al nostro donatore di intraprendere.  Ci portiamo il sostenitore nelle terre dove lavoriamo, attraverso quel viaggio gli mostriamo quante cose buone stiamo facendo in quel luogo.

Per questo dicevo che parliamo sì, di noi, ma portando lui in questo viaggio, accompagnandolo, prendendolo per mano e facendolo salire sulla nostra  Jeep, sulla nostra moto che che va nella foresta per raggiungere i villaggi più remoti . In questo modo lui vedrà con i suoi occhi, ovviamente nell’immaginario, quello che noi facciamo, che diventa un patrimonio anche suo, deve essere questo l’obiettivo.

Il racconto freddo e distaccato di che cosa facciamo, di quanto siamo bravi, dei nostri 50 anni di missioni nel mondo non interessa a nessuno.

Il video dell’intervista a Tiziana